Home | Chi Siamo | Ricerca avanzata | Link Versione Italiana  English version  France version

 Europeanrights.eu

Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa

  Ricerca avanzata

Giurisprudenza 26565/05 (27/05/2008)

Tipo: Sentenza

Autorità: Autorità europee: Corte europea dei diritti umani

Data: 27/05/2008

Oggetto: La causa concerne una richiesta introdotta da N., cittadina ugandese nata nel 1974 e residente a Clapham (Londra). Nell’invocare l’Articolo 3 (proibizione della tortura) della Convenzione Europea dei Diritti Umani, essa sostiene che il suo rimpatrio le farebbe subire sofferenze e ridurrebbe le proprie aspettative di vita, il che si concretizzerebbe in un trattamento inumano e degradante. La causa è stata introdotta dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Umani il 22 luglio 2005. Il 22 maggio 2007 la Sezione si è dichiarata incompetente a favore della Grande Camera. Un’udienza pubblica si è svolta presso il Palazzo dei Diritti Umani di Strasburgo il 26 settembre 2007. Articolo 3 La Corte riprende la propria giurisprudenza relativa a cause di espulsione nelle quali parte ricorrente abbia evidenziato rischi di violazione dell’Articolo 3 a causa di personali cattive condizioni di salute ed osserva di non avere concluso per analoga violazione nella Sentenza “D. c./ Regno Unito” (causa n. 30240/1996) del 21 aprile 1997, ove erano in discussione “circostanze quanto mai eccezionali” e “imperative valutazioni umanitarie”. In questa causa, il ricorrente era gravemente malato, sembrava prossimo alla morte e non era sicuro di poter beneficiare di cure mediche o infermieristiche nel proprio paese di origine ove non aveva alcun parente disponibile, o in grado di occuparsi di lui o di fornirgli, quanto meno, alloggio o un minimo di alimenti o sostegno sociale. La Corte rammenta che gli immigrati oggetto di una sentenza di espulsione non possono in linea di principio rivendicare il diritto a rimanere sul territorio di uno degli stati ratificanti la Convenzione Europea dei Diritti Umani (il c.d. Stato contraente), allo scopo di continuare a beneficiare dell’assistenza e dei servizi medici, sociali o di altre erogazioni da parte dello Stato che espelle. L’eventualità che - in caso di espulsione da parte dello Stato contraente - il ricorrente possa conseguire degrado rilevante della propria situazione, e soprattutto una considerevole riduzione delle proprie aspettative di vita, non è di per sé sufficiente a concretare violazione del citato Articolo 3. La decisione di espellere uno straniero colpito da malattia fisica o mentale grave verso un paese in cui i metodi di cura di tali malattie sono inferiori a quelli disponibili nello Stato contraente, è suscettibile di sollevare una questione giuridica sotto l’ottica del citato Articolo 3, ma soltanto in casi molto, molto eccezionali, allorché le “valutazioni umanitarie” di rigetto dell’espulsione siano “imperative”, come nella causa “D. c./Regno Unito”. Anche se numerose categorie di diritti fissati dalla Convenzione hanno ripercussioni di ordine economico o sociale, la Convenzione mira essenzialmente alla protezione di diritti civili e politici. Inoltre, l’obiettivo di assicurare un giusto equilibrio tra esigenze di interesse generale della comunità ed imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo è insito nell’insieme organico della stessa Convenzione. I progressi delle scienze mediche e le differenze socio-economiche fra Paesi fanno sì che il livello di trattamento fruibile in uno Stato contraente e quello esistente in un paese di origine possano variare notevolmente. Il citato Articolo 3 non impone l’obbligo ad ogni Stato contraente di rimediare a queste disparità fornendo cure gratuite e illimitate a tutti gli stranieri sprovvisti del diritto di dimora sul proprio territorio. Concludere per la tesi contraria imporrebbe oneri troppo gravosi per tutti gli Stati contraenti. Da ultimo, la Corte considera che – sebbene questa causa riguardi l’espulsione di una persona sieropositiva e affetta da sintomi da Aids – gli stessi principi debbano applicarsi all’espulsione di ogni persona affetta da malattia fisica o mentale grave, insorta naturalmente, suscettibile di provocare sofferenze nonché dolore e di ridurre l’aspettativa di vita, bisognevole di un trattamento medico specialistico di non facile reperimento nel paese di origine di parte ricorrente o che colà sia disponibile ma soltanto a prezzo molto elevato. Sebbene la ricorrente abbia chiesto asilo al Regno Unito (domanda che fu respinta), essa non dimostra che la sua espulsione verso l’Uganda le avrebbe fatto correre a rischio di essere sottoposta a maltrattamenti deliberati come rispondenti a finalità politiche. Il ricorso della ricorrente ex citato Articolo 3 si basa soltanto sulla gravità del suo stato di salute e sulla mancanza di cure mediche atte a curare la propria malattia nel paese d’origine. Nel 1998 le furono diagnosticate due malattie connesse alla Aids nonché una grave immunodepressione. In virtù dei trattamenti medici fruiti nel Regno Unito il suo stato di salute è ormai stabilizzato. Essa è in grado di viaggiare e le sue condizioni non degenereranno più di tanto se continuerà a seguire le cure mediche di cui ha bisogno. Risulta tuttavia da elementi eccepiti dinanzi ai giudici nazionali che se la ricorrente dovesse essere privata delle medicine che assume attualmente, la sua salute degenererebbe rapidamente ed essa dovrebbe affrontare la malattia, lo sconforto e la sofferenza, per morire nel giro di qualche anno. In base ad informazioni assunte presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Uganda vi sono cure antiretrovirali, anche se – a causa di fondi insufficienti - soltanto la metà delle persone bisognevoli ne beneficiano. La ricorrente sostiene di non avere i mezzi per comprare questo tipo di medicine e che non potrebbe procurarsele nella regione rurale del paese d’origine. Sembra che essa abbia dei familiari in Uganda, ma la ricorrente sostiene che costoro non sarebbero né disponibili né in grado di occuparsi di lei, soprattutto se gravemente malata. Le Autorità britanniche hanno fornito alla ricorrente assistenza medica e sociale finanziata da fondi pubblici durante i nove anni da quando essa ha adito sia i giudici nazionali inglesi, sia la Corte, per chiedere una sentenza sulla sua domanda di asilo e sui motivi di ricorso ex Articoli 3 e 8 della Convenzione Europea. Tuttavia, ciò non significa in sé che lo Stato convenuto sia tuttora obbligato a proseguire nell’offerta di tale tipo di assistenza. La Corte riconosce che la qualità e l’aspettativa di vita della ricorrente sarebbero compromesse dalla sua espulsione verso l’Uganda. Tuttavia, la ricorrente – in questo momento – non è in stato critico. La valutazione del grado di rapidità con cui la sua salute degenererebbe e della misura in cui essa potrebbe ottenere trattamenti medici, sostegno e cure, ivi compreso l’aiuto dei parenti più prossimi, comporta di necessità una valutazione scientifico-speculativa, data, in particolare, l’evoluzione costante della situazione in materia di trattamenti delle infezioni da HIV e da Aids in tutto il mondo. Nel ritenere che la fattispecie non è contraddistinta dalle “circostanze eccezionali”, la Corte conclude che eseguire la decisione espulsiva dell’interessata verso l’Uganda non comporterebbe violazione dell’Articolo 3 della Convenzione. Articolo 8 La Corte, sulla base di 14 voti contro 3, conclude per il non doversi procedere all’esame del ricorso ex Articolo 8 della Convenzione.

Parti: N. c/ Regno Unito

Classificazione: Dignità - Art. 4 Pene inumane - Pene degradanti - Trattamenti inumani - Trattamenti degradanti