Tribunale di Bergamo, ordinanza del 6 agosto 2014
IL TRIBUNALE DI BERGAMO
SEZIONE LAVORO
in composizione monocratica in persona della dott.ssa Monica Bertoncini in funzione di Giudice del Lavoro, a scioglimento della riserva assunta il 21 maggio 2014, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel procedimento ex art. 28 d.lgs. 150/2011
promosso da
Associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI Rete Lenford, con i
proc. avv. C. Caput, M. G. Sangalli e A. Guariso
ricorrente –
contro
Xxxxxxxxx con i proc. avv. P Giuliani e G.
Taormina
convenuto –
Svolgimento del processo
Con ricorso promosso
ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 150/11 e art. 702 bis c.p.c. l’Associazione
Avvocatura per i Diritti LGBTI Rete Lenford conveniva in giudizio, dinanzi al
Tribunale di Bergamo, Xxxxxxxxxx per sentir accertare e dichiarare il carattere
discriminatorio delle dichiarazioni dal medesimo rese e consistenti nell’aver in
più occasioni affermato, nel corso di un’intervista durante la puntata del
programma radiofonico “La zanzara”, di non voler assumere nel proprio studio
avvocati, altri collaboratori e/o lavoratori omosessuali e per sentir ordinare
di dare adeguata pubblicità alla decisione giudiziale tramite la pubblicazione
su due quotidiani a tiratura nazionale di un estratto, in formato idoneo a
garantire una adeguata visibilità, della emananda ordinanza; nonché per sentirlo
condannare al risarcimento del danno da quantificarsi in via equitativa in una
somma non inferiore ad € 15.000; nonché per sentir disporre un piano di
rimozione ai sensi dell’art. 28, comma 5, d.lgs. 150/11, con fissazione, ai
sensi dell’art. 614 bis c.p.c. della somma di denaro dovuta per ogni violazione
o inosservanza successiva o per ogni ritardo nell’esecuzione del
provvedimento.
A fondamento di tale pretesa la ricorrente esponeva che il
convenuto, esercente la professione di avvocato ed iscritto all’Ordine degli
Avvocati di Latina, il 16.10.2013, ospite della trasmissione “La zanzara” su
Radio 24, aveva reso plurime dichiarazioni circa la non volontà di assumere
lavoratori omosessuali nel proprio studio professionale.
L’associazione
ricorrente evidenziava il carattere discriminatorio di tali affermazioni, ai
sensi dell’art. 2 d.lgs. 216/03, in quanto atte ad integrare un’ipotesi di
discriminazione diretta ed agiva pertanto in giudizio per conseguire la tutela
legale in materia di discriminazione.
Il convenuto, regolarmente citato, si costituiva
in giudizio, chiarendo come si fosse in presenza di affermazioni meramente
astratte e facete e come pertanto non potesse essere invocata alcuna
discriminazione, posto che nella trasmissione si era fatto riferimento a casi
ipotetici.
Il convenuto negava, infatti, che presso il suo studio fosse in
corso alcuna selezione per l’assunzione di personale (avvocati e/o collaboratori
e/o segretarie), precisando di aver reso le dichiarazioni incriminate non come
datore di lavoro, ma come privato cittadino nell’esercizio del proprio diritto
di pensiero e di opinione. Concludeva per il rigetto delle domande.
La causa, istruita solo documentalmente, è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
La domanda è fondata.
Va preliminarmente
respinta l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio sollevata
dal convenuto per l’asserita violazione dell’art. 702 bis, primo comma, c.p.c.
in relazione agli artt. 163, secondo comma, n. 7 c.p.c., essendosi la parte
convenuta ampiamente difesa nel merito.
Passando quindi ad analizzare il
contenuto della domanda, i fatti sono pacifici, non essendo contestata né la
legittimazione attiva dell’associazione ricorrente, né le dichiarazioni del
convenuto.
Quest’ultimo, ospite della trasmissione radiofonica “La zanzara”
del 16.10.2013, ha reso una serie di affermazioni inerenti l’omosessualità,
quali “se la tenga lei l’omosessualità, io non ne ho alcune, né simpatia, né
antipatia, non me ne frega niente, l’importante è che non mi stiano intorno”…
“mi danno fastidio”… (v. doc. 2 fasc. ricorrente).
Alla replica del
conduttore, “ma lei è circondato da omosessuali, lei purtroppo è circondato,
purtroppo per lei, perché la quota di popolazione è sempre quella”, il convenuto
ha risposto “intanto io ad esempio nel mio studio faccio una cernita adeguata in
modo tale che questo non accada” (v. doc. 2 fasc. ricorrente).
Alla domanda
del conduttore “cioè, non ho capito, lei, se uno è omosessuale, non lo assume
nel suo studio?” il convenuto ha risposto “ah sicuramente no, sicuramente no”
(v. doc. 2 fasc. ricorrente).
Ed all’affermazione “ma professore, questa è
discriminazione, è discriminazione questa roba qua”, il convenuto ha replicato
“beh, vabbè sarà discriminazione, a me non me ne frega niente” (v. doc. 2 fasc.
ricorrente).
Nel prosieguo della conversazione il convenuto ha nuovamente
ribadito di non volere persone omosessuali all’interno del proprio studio
professionale (v. doc. 2 fasc. ricorrente, Cruciani: “ognuno stia a casa sua,
d’accordo, ma uno che vuole lavorare da lei, lei non può mettere il paletto
<>” – Xxxxxxxx: “no, no, io metto questo paletto sì”. Ed ancora Parenzo,
co-conduttore della trasmissione, “arriva nell’ufficio del prof. Xxxxxxxx un
signore, chi è ? sono Francesco, prego avanti, salve sono laureato a Yale, sono
il miglior avvocato su piazza però sono omosessuale, che dice Xxxxxxxx, non lo
prende, il miglior avvocato del mondo?” – Xxxxxxxx “perché lo devo prendere,
faccia l’avvocato se è così bravo e così, diciamo, così capace di fare
l’avvocato si apra un bello studio per conto suo e si fa la professione dove
meglio crede. Da me non… mi dispiace turberebbe l’ambiente, sarebbe una
situazione di grande difficoltà”).
Così ricostruiti i fatti, va richiamata la
direttiva 2000/78/CE del 27.11.2000 che ha stabilito un quadro generale per la
parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
In
particolare, secondo il suo articolo 1 la direttiva “mira a stabilire un quadro
generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le
convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto
concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo
negli Stati membri il principio di parità di trattamento”.
Il d.lgs. 216/03
ha dato attuazione alla direttiva stabilendo all’art. 2, comma 1, che “per
principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi
discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni
personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale” e si ha
“discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per
handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno
favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una
situazione analoga” (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. 216/03).
Inoltre, “il
principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di
convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica
a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di
tutela giurisdizionale” (art. 3, comma 1, lett. a, d.lgs. 216/03).
Fatte
queste premesse, occorre precisare che “la qualificazione di discriminatorietà
può essere attribuita a un qualsiasi atto che determini un’oggettiva disparità
di trattamento, avendosi riguardo agli effetti pregiudizievoli o di particolare
svantaggio del trattamento meno favorevole e prescindendo dalle intenzioni del
responsabile della discriminazione” (Trib. Bergamo, 24.4.2013, Corte App. Torino
23.1.2013).
Inoltre, il d.lgs. 216/03, nel definire la discriminazione
diretta (“una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o
sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga”) introduce sia una
comparazione attuale, che una meramente ipotetica.
Del resto, come chiarito
dalla Corte di Giustizia, « l’esistenza di una discriminazione diretta, ai
sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 non
presuppone che sia identificabile un denunciante che asserisca di essere stato
vittima di tale discriminazione » (così, par. 36 causa C-81/12 Associatia
Accept, nonché par. 23 causa C-54/07).
Ciò significa che è atta ad integrare
discriminazione anche una condotta che, solo sul piano astratto, impedisce o
rende maggiormente difficoltoso l’accesso all’occupazione, come nei casi
analoghi sottoposti all’esame della Corte di Giustizia (causa C-81/12 Associatia
Accept, nonché causa C-54/07).
In particolare, nell’ambito della causa
C-81/12 (cd. Associatia Accept), non era in discussione che alle dichiarazioni
incriminate (rese da un’azionista di una squadra di calcio per il quale sarebbe
stato pereferibile ingaggiare un calciatore della squadra giovanile, piuttosto
che un calciatore presentato come omosessuale) fossero applicabili gli articoli
1 e 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 « che riguardano, in materia di
occupazione e condizioni di lavoro, dichiarazioni relative < Analoghe
considerazioni si posssono svolgere rispetto alle dichiarazioni in esame, con
cui il convenuto, in più passaggi, ha preso le distanze dalle persone
omosessuali, ribadendo varie volte di non volerle all’interno del proprio studio
professionale e di fare, a tal fine, una « cernita adeguata in modo tale
che questo non accada » (v. doc. 2 fasc. ricorrente).
Si tratta,
all’evidenza, di espressioni idonee a dissuadere determinati soggetti dal
presentare le proprie candidature allo studio professionale dell’avv. Xxxxxxxx e
quindi atte ad ostacolarne l’accesso al lavoro od a renderlo maggiormente
difficoltoso.
Peraltro, nella situazione in esame, il convenuto è avvocato di
nota fama sul territorio nazionale, il che attribuisce maggiore risonanza,
rilievo e dissuasività alle dichiarazioni in questione.
Queste ultime, il cui
significato è inequivocabile, sono idonee a distogliere sia avvocati che
praticanti (oltre che impiegati) dal’invio del curriculum vitae allo studio
professionale del convenuto e ciò, di per sè, integra una limitazione delle
condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro.
Del resto è noto che,
nello specifico settore professionale in cui il convenuto opera, l’assunzione di
un avvocato, come pure l’iscrizione presso il proprio studio di un praticante
avvocato, non necessariamente avviene tramite una formale selezione
pubblicizzata dal datore di lavoro.
Spesso, molto più semplicemente,
l’avvocato si limita ad attingere ai curriculum vitae che periodicamente riceve
presso il suo studio.
Ed allora è evidente come in presenza di simili
dichiarazioni molte persone potranno astenersi dall’inviare la propria
candidatura, avendo la certezza che questa non sarà presa in considerazione.
Pertanto, come sostenuto dall’avvocato generale nella causa C-54/07,
dichiarazioni simili a quelle in esame hanno « un effetto tutt’altro che
ipotetico », avendo piuttosto un impatto demoralizzante e dissuasuivo nei
confronti di quelle persone che aspirerebbero ad essere assunte presso lo studio
professionale del convenuto.
Infine, su quest’ultimo aspetto, pacificamente
gravava sul convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione,
che nella fattispecie è stata negata sul presupposto per cui tali espressioni
sarebbero state proferite come privato cittadino, come libera manifestazione del
proprio pensiero, non essendovi in corso alcuna procedura di assunzione.
Tale
assunto è però rimasto sfornito di dimostrazione, non essendo stati forniti sul
punto nè prove documentali, nè richieste di prove testimoniali.
Il convenuto
neppure ha offerto di dimostrare che la prassi effettiva di assunzioni presso il
suo studio non corrisponde al contenuto delle sue dichiarazioni.
Pertanto,
rimangono le inequivoche affermazioni circa la volontà delll’avv. Xxxxxxxx di
non voler assumere nel proprio studio persone omosessuali e di fare a tal fine
una « adeguata cernita » affinchè ciò non accada.
A tali
dichiarazioni, per le complessive ragioni già esposte, deve essere attribuita
natura discriminatoria integrando un’ipotesi di discriminazione diretta ed una
chiara limitazione delle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro in
violazione dell’art. 3, comma 1, lett. A) d.lgs. 216/03.
Per quanto riguarda
la tutela e le sanzioni applicabili, piano di rimozione compreso (art. 28, comma
5, d.lgs. 150/11), va evidenziato come, per le modalità attraverso le quali la
discriminazione è stata attuata (dichiarazioni rese nel corso di un’intervista
radiofonica), l’ambito di intervento è assai limitato, non essendo possibile
ordinare ad un soggetto estraneo al giudizio (la emittente radiofonica)
l’eventuale rimozione della registrazione della trasmissione dal proprio
archivio, se presente, nè ordinare al convenuto di tenere comportamenti
incoercibili.
L’unica concreta modalità attraverso la quale è possibile la
rimozione della condotta discriminatoria è quella di dare adeguata pubblicità al
presente provvedimento, anche in considerazione dell’eco che le dichiarazioni
hanno avuto, sia per il fatto di provenire da un professionista pubblicamente
molto noto, sia per la diffussione nazionale della trasmissione nel corso della
quale sono state rese.
Pertanto, va ordinata al convenuto la pubblicazione, a
sue spese, di un estratto del presente provvedimento, in formato idoeno a
garantirne adeguata pubblicità, su « Il Corriere della Sera »,
autorizzando l’associazione ricorrente, in caso di inottemperanza, a provvedere
direttamente alla pubblicazione, con diritto di rivalsa nei confronti del
convenuto per le spese sostenute.
Per quanto attiene, infine, al profilo
risarcitorio, va richiamata l’esistenza di un ampio filone giurisprudenziale,
che riconosce un autonomo risarcimento del danno non patrimoniale (2059 c.c.)
poiché interesse tipizzato già in via legislativa ed a protezione di situazioni
giuridiche costituzionalmente protette (v. Trib. Milano, 23 settembre 2009).
Del resto, secondo le direttive in materia di diritto antidiscriminatorio, anche
qualora non via siano vittime identificabili, le sanzioni da irrogare in caso di
violazione delle norme nazionali di attuazione delle direttive debbono essere
effettive, proporzionate e dissuasive, poichè una sanzione meramente simbolica
non può essere considerata compatibile con un’attuazione corretta ed efficace
delle direttive stesse (causa C-81/12 Associatia Accept, nonché causa
C-54/07).
Nella situazione in esame, l’ampia diffusione mediatica che le
dichiarazioni hanno avuto (dimostrata dagli estratti dei quotidiani on-line
depositati dalla parte ricorrente), la ferma reiterazione delle affermazioni, il
contenuto, la forza offensiva e mortificante delle stesse, la notorietà del
convenuto ed il fatto, infine, che quest’ultimo non abbia inteso fare ammenda,
inducono a ritenere non adeguatamente dissuasivo l’ordine di pubblicazione del
presente provvedimento, rendendo opportuna la condanna al pagamento di una somma
di denaro che, tenuto conto degli elementi appena rappresentati, può
equitativamente essere determinata in € 10.000,00.
La domanda può dunque
essere accolta nei termini sopra evidenziati.
Le spese processuali, liquidate
come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bergamo, in composizione
monocratica ed in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando
sulla causa n. 791/14 r.g.:
1) dichiara il carattere discriminatorio del
comportamento tenuto da Xxxxxxxx per aver più volte affermato, nel corso
dell’intervista radiofonica alla trasmissione “La zanzara” di non voler assumere
nel proprio studio persone omosessuali;
2) ordina a Xxxxxxxx la
pubblicazione, a sue spese, di un estratto del presente provvedimento, in
formato idoneo a garantirne adeguata pubblicità, su «Il Corriere della Sera»,
autorizzando l’Associazione ricorrente, in caso di inottemperanza, a provvedere
direttamente alla pubblicazione, con diritto di rivalsa nei confronti del
convenuto per le spese sostenute;
3) condanna Xxxxxxxx al pagamento, nei
confronti della Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, a
titolo di risarcimento del danno, della somma di € 10.000;
4) condanna
Xxxxxxxx alla refusione, nei confronti della parte ricorrente, delle spese di
lite, liquidate in complessivi € 5.000,00 per compensi professionali, oltre IVA,
CPA e rimborso spese generali come per legge.
Bergamo, 6 agosto 2014
Il
Giudice del Lavoro
Dott.ssa Monica Bertoncini
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