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Giurisprudenza 50550/06 (10/06/2008)

Tipo: Sentenza

Autorità: Autorità europee: Corte europea dei diritti umani

Data: 10/06/2008

Oggetto: La Corte, all’unanimità, conclude per la violazione dell’Articolo 3 (proibizione di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione Europea dei Diritti Umani, poiché le condizioni detentive del ricorrente non sono parse adeguate al suo stato di salute. Nell’invocare il suddetto Articolo 3, il ricorrente sosteneva che il protrarsi del proprio stato detentivo costituiva un trattamento inumano. Articolo 3 La Corte osserva che il ricorrente non ha più camminato dal 1987, in aprile 2006 ha subito una frattura del femore e non può spostarsi che su sedia a rotelle. Il ricorrente è privo di ogni autonomia e sostiene di essere costretto a trascorrere tutti i giorni a letto, circostanza che non è contestata dal Governo d’Italia. Il ricorrente Scoppola ha 67 anni, soffre di patologie cardiache e dismetaboliche, diabete, indebolimento della massa muscolare, ipertrofia prostatica e depressione. Il consulente sanitario incaricato dal ricorrente ha affermato che il suo stato di salute era incompatibile con il mantenimento in prigione, data l’esigenza dell’interessato di essere continuamente assistito. Questo parere tecnico è stato confermato dalla consulenza medica d’ufficio 6 giugno 2006, proponente il trasferimento del ricorrente in un centro sanitario adeguatamente attrezzato. Sulla base dei suddetti rapporti medici, il 16 giugno 2006, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha disposto per il ricorrente la detenzione domiciliare, sottolineando che le cure di cui il ricorrente aveva bisogno non potevano essere erogate in prigione e che continuare a privarlo di libertà in un penitenziario avrebbe costituito trattamento inumano. La Corte non ravvisa alcun motivo di riforma della esposta conclusione. La Corte sottolinea altresì che la decisione di far scontare al ricorrente la propria pena fuori dall’ambito carcerario è stata revocata l’8 settembre 2006, a seguito dell’inadeguatezza del domicilio del ricorrente al suo stato di salute. Il ricorrente, di conseguenza, ha continuato ad essere detenuto in un penitenziario. La Corte non può ignorare gli sforzi compiti dalle Autorità italiane che hanno collocato il ricorrente in un penitenziario dotato di centro clinico e privo di barriere architettoniche, in particolare il carcere di Parma. Peraltro, in queste carceri il ricorrente è stato sottoposto a numerose indagini cliniche miranti alla cura della patologie dismetaboliche, ed ha usufruito di sedute chinesiterapiche. Tuttavia, la mancanza nelle autorità nazionali della volontà di umiliare o degradare l’interessato non esclude comunque sia, un aspetto di qualche violazione del suddetto Articolo 3. Nella fattispecie l’esigenza – sottolineata dal Tribunale di sorveglianza di Roma – di collocare il ricorrente fuori dell’ambito carcerario è rimasta lettera morta per ragioni non imputabili all’interessato. Secondo la Corte, nelle circostanza di causa, lo Stato italiano avrebbe dovuto sia trasferire senza indugio l’interessato in un carcere meglio dotato per escludere ogni di rischio di trattamento inumano, sia sospendere l’esecuzione di una pena che si concretava ormai in evidente trattamento contrario all’Articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Peraltro, nella decisione di revoca della misura detentiva domiciliare, il Tribunale di sorveglianza di Roma non ha considerato quest’ultima possibilità. Per conseguenza, il ricorrente ha continuato ad essere detenuto nel carcere di “Regina Coeli” che il suddetto Tribunale di Roma aveva ritenuto non adeguato ad erogare le cure mediche per le patologie dalle quali era affetto il ricorrente. E’ soltanto in data 23 settembre 2007 che lo Scoppola fu trasferito nella prigione di Parma dotata di strutture ritenute dal Ministero della Giustizia italiano adeguate a supplire alle difficoltà di movimento del condannato. La Corte ritiene di non avere elementi sufficienti per pronunciarsi sulla qualità di tali strutture, o, più generalamente, sulle condizioni detentive del ricorrente in quel di Parma. La Corte si limita ad osservare che il prosieguo dello stato detentivo dello Scoppola nel carcere di “Regina Coeli” e nelle circostanze sopra descritte, ha posto il ricorrente in una condizione tale da suscitare in lui sentimenti continuativi di angoscia, inferiorità ed umiliazione talmente forti, sì da costituire “trattamento inumano o degradante”. Pertanto la Corte conclude per la violazione dell’Articolo 3.

Parti: Scoppola c/ Italia

Classificazione: Dignità - Art. 4 Pene inumane - Pene degradanti - Trattamenti inumani - Trattamenti degradanti