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Giurisprudenza 43546/2002 (22/01/2008)

Tipo: Sentenza

Autorità: Autorità europee: Corte europea dei diritti umani

Data: 22/01/2008

Oggetto: La Corte, sulla base di dieci voti contro sette, conclude per la violazione dell’Articolo 14 (divieto di discriminazione) nel combinato disposto dell’Articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare) della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Nell’invocare l’Articolo 14 della citata Convenzione in relazione all’Articolo 8, la ricorrente denunciava di avere subito – in tutte le fasi della procedura di approvazione della propria domanda di adozione – un trattamento discriminatorio basato sul suo orientamento sessuale e di violazione del diritto al rispetto della sua vita privata. In ordine alla ricevibilità del ricorso La Corte rammenta in via preliminare che se il diritto francese e l’Articolo 8 non garantiscono il diritto di adottare o di creare una famiglia, punto su cui le parti convengono, la nozione di “vita privata”, ai sensi del medesimo Articolo 8, è concetto ampio comprendente un certo numero di diritti. Poiché la fattispecie concerne una denuncia di discriminazione basata sull’omosessualità della ricorrente, la Corte rammenta del pari che se l’Articolo 14 (divieto di discriminazione) non ha operatività autonoma, la sua applicazione non presuppone necessariamente anche la violazione dell’Articolo 8: è sufficiente che i fatti di causa ricadano “sotto gli effetti di” quest’ultima norma. Tale è il caso della presente causa, dato che la legislazione francese accorda espressamente alle persone celibi il diritto di chiedere il permesso di adozione ed ha fissato a tal fine un’ apposita procedura. Di conseguenza, la Corte ritiene che lo Stato francese, che è andato al di là dei propri obblighi ex Articolo 8 dichiarando un simile diritto, non può poi adottare misure discriminatorie nell’applicazione concreta di tale norma. Orbene la ricorrente denuncia la discriminazione subita nell’esercizio di un suo diritto accordatole dalla legislazione nazionale a causa del suo orientamento sessuale, con nozione di discriminazione rientrante nell’ambito dell’Articolo 14. L’Articolo 14 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, combinato con l’Articolo 8, si applica alla fattispecie. Articolo 14 della Convenzione Europea, combinato con l’Articolo 8 Dopo aver richiamato un parallelismo con altro precedente caso, la Corte rileva che le autorità amministrative francesi, e poi le autorità giurisdizionali adite dalla ricorrente, si sono basate fondamentalmente su due motivi di paritaria valenza, per respingere la domanda di permesso di adozione: l’assenza di un referente paterno nell’ambito familiare della ricorrente e il comportamento dichiarato della sua convivente. La Corte considera che le attitudini della convivente della ricorrente sono di rilevante interesse e pertinenza allorché si valuta la domanda di adozione presentata dalla prima. Secondo la Corte, è legittimo che le autorità nazionali si preoccupino di ogni garanzia in vista dell’eventuale accoglimento di un bambino in una famiglia. Secondo la Corte, tale principio è però estraneo ad ogni valutazione sull’orientamento sessuale dell’interessata. In ordine al motivo concernente l’assenza di un referente paterno, la Corte ritiene che di per sé esso non pone necessariamente problemi, ma che è lecito chiedersi della sua fondatezza nel caso di specie, dato che la domanda per il permesso di adottare è stata presentata da una persona celibe, non da una coppia. Secondo la Corte, tale motivo avrebbe potuto determinare un rigetto arbitrario e costituire pretesto per respingere la domanda della ricorrente solo a causa della sua omosessualità, e il Governo non è in grado di dimostrare che l’applicazione interna di tale pretesto non determini poi altre discriminazioni. La Corte non contesta il ricorso sistematico di verifica della mancanza del referente paterno, ma l’importanza che viene ad esso attribuita dalle autorità nazionali mentre si tratta di una adozione da parte di persona celibe. E’ significativo che l’omosessualità della ricorrente sia stata anche richiamata nelle motivazioni delle autorità interne, sebbene i giudici l’abbiano ritenuta non rilevante per la decisione della causa. Indipendentemente dalle loro considerazioni sulle “condizioni di vita” della ricorrente, i giudici nazionali hanno soprattutto confermato la decisione del presidente del Consiglio generale, che proponeva e giustificava in sostanza il rigetto della domanda per i due motivi in contestazione: la redazione di alcuni pareri rivelava una valutazione decisiva dell’omosessualità della ricorrente o, talora, del suo stato civile di celibe per contestarglielo e rinfacciarglielo anche se la legge prevede espressamente per i celibi il diritto di domandare il consenso all’adozione. Secondo la Corte, il riferimento all’omosessualità della ricorrente era se non esplicito quanto meno implicito e l’incidenza della sua omosessualità sul giudizio della domanda di adozione è non solo vera, ma ha rivestito parimenti un carattere decisivo. Pertanto, la Corte ritiene che la ricorrente è stata oggetto di una disparità di trattamento. Se tale disparità è riferita esclusivamente all’orientamento sessuale, essa costituisce una discriminazione vietata dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani. In ogni caso, occorrono ragioni particolarmente gravi e convincenti per giustificarla trattandosi di diritti rientranti nell’ambito dell’Articolo 8. Orbene tali ragioni non esistono nella fattispecie, poiché il diritto francese autorizza l’adozione di un bambino da parte di persona celibe aprendo così la strada all’adozione da parte di una persona omosessuale. Inoltre il codice civile resta muto sulla necessità di un referente dell’altro sesso mentre, d’altro canto, la ricorrente - per citare termini della sentenza del Consiglio di Stato – presentava “determinate qualità umane ed educative”. Avendo la Corte accertato che la posizione della ricorrente è stata oggetto di una valutazione globale da parte delle autorità interne, le quali non si sono basate in modo esclusivo su un motivo specifico ma sull’ ”insieme” degli elementi, i due principali motivi utilizzati nel giudizio devono essere valutati cumulativamente: quindi, la natura illegittima di uno solo di essi (assenza del referente paterno) ha l’effetto di inficiare di illegittimità l’intera decisione. La Corte conclude che la decisione di rigetto del permesso di adottare è incompatibile con la Convenzione Europea e che vi è stata violazione dell’Articolo 14 nel combinato disposto dell’Articolo 8 della Convenzione medesima. I giudici Lorenzen e Jebens hanno espresso opinione conforme, e i giudici Costa, Turmen, Ugrekhelidze, Jociene, al pari dei giudici Zupancic, Loucaides e Mularoni hanno espresso opinioni dissenzienti, i cui testi si trovano allegati alla sentenza.

Parti: E.B. c/ Francia

Classificazione: Libertà - Art. 7 Vita privata - Uguaglianza - Art. 21 Non discriminazione